IGNOTO PITTORE SICILIANO
Sant’Eligio Vescovo
Fine del XVI – inizi del XVII sec.
Olio su tela
Prov.: Mussomeli, chiesa Sant’Antonio Abate
da un progetto di:
Francesca Fiandaca, Anna Tiziana Amato Cotogno, Vincenzo Duminuco, Giovanni Gruttadauria
Dipinto del XVI secolo proveniente dalla chiesa di San Antonio Abate di Mussomeli raffigurante Sant’Eligio, vescovo.
Il dipinto è da riferire ad ambiente pittorico messinese, con elementi comuni a Francesco Cardillo e con aperture culturali legate all’area palermitana; legato ai dettami della Controriforma, presenta la figura immersa in un vasto paesaggio marino. Nella parte inferiore della tela, trovano spazio tre storie con episodi della vita del santo venerato dai maniscalchi e dagli orafi, per quello che fu il suo primo lavoro come apprendista a Lione in una bottega di oreficeria.
Fiandaca F. (2013) Catalogo delle Opere del Museo Diocesano “Giovanni Speciale” di Caltanissetta, Guida alle collezioni, Caltanissetta, Paruzzo Editore
Nacque a Chaptelat (presso Limoges in Francia) intorno al 590. Una leggenda racconta che gli si presentò il diavolo vestito da donna: e lui, Eligio, rapido lo agguantò per il naso con le tenaglie. Questa colorita leggenda è raffigurata in due cattedrali francesi (Angers e Le Mans) e nel duomo di Milano, con la vetrata di Niccolò da Varallo, dono degli orefici milanesi nel Quattrocento.
L’Eligio storico, figlio di gente modesta, deve aver ricevuto tuttavia un’istruzione, perché viene assunto come apprendista dall’orefice lionese Abbone, che dirige pure la zecca reale: un grande maestro nella sua arte. E l’allievo Eligio non è da meno. Della sua fama di artefice e di galantuomo parla un singolare racconto, non documentato: il re Clotario II gli commissiona un trono d’oro, dandogli il metallo occorrente. E lui, con quello, di troni gliene fa due. Dimezzato il preventivo: cose mai viste, né prima né dopo.
Sotto Clotario, Eligio va a dirigere la zecca di Marsiglia, e intanto continua a fare l’orefice. Col nuovo re Dagoberto I (623-639) viene chiamato a corte e cambia mestiere: il sovrano ne fa un suo ambasciatore, per missioni di fiducia. Altri incarichi se li prende da solo: per esempio, riscattare a sue spese i prigionieri di guerra, fondare monasteri maschili e femminili. Morto il re, sceglie la vita religiosa, e il 13 maggio 641 viene consacrato vescovo di Noyon-Tournai.
Comincia un’esistenza nuova. Eligio s’impegna nella campagna di evangelizzazione (e ri-evangelizzazione) nel Nord della Gallia, nelle regioni della Mosa e della Scelda, nelle terre dei Frisoni. Ne diventa uno dei protagonisti, con altri vescovi come Audoeno (Ouen) di Rouen (che sarà anche il suo biografo), Amand di Tongres, Sulpizio il Pio di Bourges. E la sua vita si conclude appunto sul campo, in terra olandese (di qui i suoi resti verranno riportati a Noyon solo nel 1952). E subito parte l’altra storia di sant’Eligio: il suo culto si diffonde in Francia, in Germania, in Italia. Lo vogliono come patrono non solo gli orafi, ma in pratica tutti gli artigiani dei metalli, e poi i carrettieri, i netturbini, i mercanti di cavalli, i maniscalchi, e ai tempi nostri anche i garagisti.
In alcune località francesi si dà la benedizione ai cavalli nel giorno della sua festa.
Domenico Agasso